Può sembrare artificioso differenziare l’approccio al dolore dei pazienti oncologici e non oncologici, poiché la sindrome dolorosa non è caratterizzata da sostanziali differenze dal punto di vista fisiopatologico.
In realtà, questo approccio è indispensabile poiché, pur essendo identico l’obiettivo primario di controllare l’intensità del dolore percepito, gli obiettivi di cura e l’approccio terapeutico si rivelano assai diversi.
Nel dolore cronico non oncologico, obiettivo prioritario è la riduzione dell’impatto del dolore sull’autosufficienza e sulle attività e relazioni quotidiane, in altre parole la riduzione della disabilità.
Lo stesso risultato è perseguibile nel dolore che si presenta nella fase iniziale della malattia oncologica, mentre nell’ambito delle cure palliative, in pazienti destinati a morire nell’arco di pochi mesi, il tentativo di ridurre la disabilità è per lo più vano, poiché la capacità di svolgere i normali atti della vita quotidiana va continuamente riducendosi a causa della progressione della malattia; non è più possibile riferirsi, in questa fase, solo alla qualità della vita, ma è necessario orientare l’assistenza verso una qualità della morte.
Ciò premesso, il sollievo dal dolore oncologico deve essere un obiettivo prioritario in ogni fase della malattia oncologica, raggiungibile, nella maggioranza dei casi, con la sola terapia farmacologica.
Tuttavia, quando il dolore si manifesta come compagno di viaggio lungo la strada che conduce alla morte, esso è aggravato dallo stato di fragilità psicologica e coinvolge tutte le dimensioni della persona, non soltanto quella somatica. Il dolore in queste condizioni è definito "dolore totale" e appare chiaro che non può essere affrontato con la sola terapia farmacologica.
Si rende necessario un approccio multidimensionale, che tenga conto anche dei bisogni psicologici, spirituali e sociali, che devono essere considerati con attenzione e affrontati contemporaneamente alla cura del dolore fisico.
Quando il livello di complessità assistenziale aumenta, per un trattamento adeguato della sofferenza (il dolore insieme al suo vissuto) si rende necessaria un’offerta di cure palliative a domicilio, in Hospice o in ospedale, in grado di rispondere puntualmente ai molteplici bisogni del malato (come detto, di ordine non solo fisico, ma anche psicologico e spirituale) e della famiglia, sulla quale quasi sempre grava il peso assistenziale maggiore, proprio nel momento di maggiore fragilità psicologica.
Questa assistenza, in accordo con i modelli avanzati di cura nei Paesi europei più evoluti, dovrebbe essere erogata a domicilio da un’“equipe di cura” in cui sono presenti, oltre al MMG e all’infermiere, il medico esperto in cure palliative, l’assistente sociale, lo psicologo, l’assistente spirituale e volontari specificamente formati.
Le diverse equipe territoriali dovrebbero essere coordinate da un unico Centro erogatore, che governi la “Rete di cure palliative”, occupandosi soprattutto della continuità delle cure tra domicilio e Centri di cura residenziali [Hospice, ma anche Ospedale e Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA)].
Per le nuove esigenze di approccio e cura del dolore nel paziente in fase avanzata di malattia è necessario superare l’isolamento del singolo MMG, sovraccarico di adempimenti burocratici e spesso privo di collegamenti, sia con gli altri MMG che operano nello stesso territorio, sia con i servizi territoriali del Distretto, sia con i Centri di riferimento ospedalieri. Il nuovo modello di assistenza deve essere fondato sul concetto di Rete.
In tal modo i cittadini malati, bisognosi di cure palliative, avranno la possibilità di essere visitati sempre da medici che conoscono la loro storia clinica, di essere guidati nei percorsi specialistici e diagnostici, di avere un’assistenza domiciliare appropriata se necessaria.
La Rete garantisce, inoltre, che tutte le componenti dei processi di cura, attualmente frammentate e disperse tra più servizi e operatori, siano sempre ricomponibili e a disposizione del Sistema Sanitario Nazionale (SSN).
Se i Centri di terapia del dolore identificati dalle Regioni si integreranno nel Percorso Diagnostico-Terapeutico Assistenziale (PDTA), generato e condotto nell’ambito delle cure primarie da un modello avanzato di Medicina Generale, e se le Reti esistenti o in fase di realizzazione (Reti oncologiche e Reti di cure palliative) utilizzeranno al meglio la risorsa costituita dai MMG, verrà finalmente riconosciuta al problema “dolore” la stessa dignità di altre importanti malattie croniche e, soprattutto, i malati in fase terminale avranno la speranza di morire con minore sofferenza e maggiore dignità.
Fonte: Il dolore nel paziente oncologico di Pierangelo Lora Aprile, William Raffaeli, Gianlorenzo Scaccabarozzi, Vittorina Zagonel, Giovanni Zaninetta, in "Il dolore cronico in Medicina Generale". Roma 2010